L’azione revocatoria fallimentare ex art. 67 L.F. (http://mobile.ilcaso.it/codice_fallimentare/67) è uno strumento posto a tutela della par condicio creditorum e messo dall’ordinamento a disposizione del curatore fallimentare per porre nel nulla gli atti compiuti dal debitore, in danno dei creditori, che possono consistere in atti a titolo gratuito, pagamenti, atti a titolo oneroso e garanzie. Perché sia accolta la domanda ex art. 67 L.F. devono contemporaneamente sussistere un requisito oggettivo (l’individuazione delle rimesse suscettibili di revoca) ed un requisito soggettivo (la consapevolezza nel creditore che la società fosse in stato di decozione). Sono sottratte all’azione revocatoria le rimesse confluite su conto corrente bancario che hanno ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della Banca.

La vicenda.

L’Amministrazione straordinaria di una grande impresa ha citato in giudizio una Banca per ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 67 L.F. delle rimesse confluite sui due conti correnti intestati alla società nel cd. “periodo sospetto”. La Banca, difesa dallo Studio Luconi, ha resistito in giudizio, eccependo l’infondatezza della domanda, per l’insussistenza dell’elemento soggettivo e poiché i rapporti erano affidati, non essendovi rimesse revocabili. A prescindere dall’esistenza di fido, erano comunque revocabili solo le rimesse bancarie che avevano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria della fallita nei confronti dell’istituto di credito. Espletata CTU contabile, da cui sono scaturite diverse ipotesi, il Tribunale di Roma ha accolto integralmente la domanda della procedura di Amministrazione straordinaria. La Banca ha impugnato la sentenza lamentandone l’erroneità, tra l’altro, poichè il Tribunale aveva escluso la rilevanza della natura affidata dei rapporti di conto corrente della distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie e per avere fatto erronea applicazione dei criteri di consistenza e durevolezza.

Il requisito della “durevolezza” delle rimesse in conto corrente secondo la Corte d’Appello di Roma

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 3332/2022, ha accolto l’impugnazione della Banca, ritenendo, da un lato, che in caso di accrediti in conto corrente la riforma dell’art. 70 L.F. (http://mobile.ilcaso.it/codice_fallimentare/70) non aveva fatto venir meno la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie (benché nel caso di specie non fosse stata dimostrata la natura affidata dei rapporti) e, dall’altro, che il Tribunale, pur partendo da una premessa corretta, aveva erroneamente individuato le rimesse “durevoli” confluite su uno dei due conti, con la conseguenza che le stesse erano esenti da revocatoria.

La decisione in commento sconfessa l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la riforma dell’art. 70 L.F. avrebbe fatto venir meno la rilevanza della natura affidata dei conti correnti per l’individuazione delle rimesse revocabili ex art. 67 L.F. e dimostra di condividere quell’orientamento della giurisprudenza di merito che ravvisa come “consistente” la rimessa pari o maggiore al 10% dello scoperto massimo registrato nel periodo sospetto e “durevole” la rimessa che non sia seguita, nei successivi 10 giorni, da prelievi tali da ridurla sotto la soglia di “consistenza” (cfr. Tribunale di Perugia, 3/9/2019 http://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/22584). Nella valutazione del carattere della durevolezza la Corte territoriale ha fatto ricorso ad un criterio non assoluto, bensì relativo, prendendo in considerazione l’andamento del conto corrente per l’individuazione di quelle rimesse di fatto funzionali a soddisfare il credito della banca nell’ambito di un c.d. rientro, quindi non riconducibili al funzionamento fisiologico di un rapporto attivo, caratterizzato da continue movimentazioni.

sentenza_n_3332:2022