1) LEGITTIMITA’ DELLA COMMISSIONE DI MASSIMO SCOPERTO

2) DIVERGENZA TRA LA VOLONTÀ NEGOZIALE E LA CAUSA TIPICA DELLA FIDEIUSSIONE E LIMITAZIONE DELL’ESPOSIZIONE DEBITORIA DEL FIDEIUSSORE ENTRO I LIMITI DELL’OBBLIGAZIONE PRINCIPALE EX ART. 1941 C. 3 C.C.

Segnaliamo la sentenza 3643/2022 resa dal Tribunale di Roma all’esito del giudizio in materia di diritto bancario avente ad oggetto, tra l’altro, le contestazioni relative alla CMS ed il contenzioso cliente-banca sulla natura simulata e nullità della fideiussione omnibus. Dopo un approfondito excursus giurisprudenziale fondante il rigetto delle domande sulla illegittimità delle variazioni contrattuali operate dalla Banca sul contratto di conto corrente e sull’accertamento richiesto in tema di usura, interessi ultralegali, anatocismo, la sentenza si occupa dell’applicazione della Commissioni di Massimo Scoperto. Il Tribunale capitolino ha ritenuto superata la questione sull’astratta validità di dette clausole per effetto del D.L. 185/2008, convertito con modificazioni nella L. n. 2/2009, che nel disciplinare la materia delle CMS, da considerare pienamente valide ed efficaci se conformi ai dettami di legge, ha consentito implicitamente di riconoscere la piena legittimità delle stesse anche per il passato, quanto alla sussistenza di una valida causa negoziale.

Dunque, di per sé, la CMS e commissioni similari non erano e non sono vietate, né automaticamente nulle erano o sono le relative clausole: la verifica va fatta in concreto. La sentenza affronta anche il tema della nullità per simulazione della garanzia personale prestata in relazione al rapporto bancario. Secondo la prospettazione attorea, una fideiussione eccessivamente onerosa rispetto al credito da garantire dissimulerebbe il reale intento del creditore di ottenere una maggior garanzia anche da parte di terzi e di disporre di una maggiore consistenza patrimoniale aggredibile, in violazione dell’art. 1941 c.c.

Nella fattispecie, il Tribunale ha ritenuto inconferente il richiamo alla natura simulata della fideiussione, non ravvisando in atti la prova di qualsivoglia divergenza tra le dichiarazioni rese dalle parti e le rispettive volontà negoziali, considerando pacifico che la parte intendesse effettivamente prestare una garanzia in ordine all’esposizione debitoria della garantita. Ha inoltre ribadito il principio secondo cui, quand’anche risultasse provata la divergenza tra la volontà negoziale e la causa tipica della fideiussione, la stessa, lungi dal costituire un’ipotesi di negozio simulato, varrebbe piuttosto ad integrarne il contenuto, senza determinarne la nullità, atteso che la concessione di una fideiussione in misura eccedente il debito o a condizioni più onerose comporta, ex art. 1941 c. 3 c.c., la mera limitazione dell’esposizione debitoria del fideiussore entro i limiti dell’obbligazione principale.

Sentenza